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MABOS E GIUSEPPE TALARICO
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MABOS E GIUSEPPE TALARICO

L’idea è arrivata come capita spesso: sorniona, uscita dalle pieghe di una lettura assolutamente casuale. Una di quelle cose che ti si palesano come un segno e che, a proposito di segni, hanno il potere di figurarti con largo anticipo una realtà che non è ancora nel presente e che quindi deve potersi rivelare. Una sorta di protesi della visione, un corpo estraneo che non ci appartiene veramente ma che dobbiamo avere la fortuna (forse anche la prontezza) di accogliere quando ci si avvicina, non essere distratti, non essere altrove. In quegli attimi che ero lì, io l’ho visto. Avevo davanti un pezzo di storia nel panorama editoriale italiano, La Lettura, rivista mensile fondata da Luigi Albertini nel lontano 1901 – e al cui modello ancora oggi si ispira la riedizione legata sempre al Corriere della Sera. Avevo conferma, nell’osservazione, che prima ancora che i contenuti, era stato il contenitore ad avere avuto, per quel progetto, un ruolo fondante e infatti molti furono gli artisti chiamati a dare la propria impronta. Una tavola del 1939 ha aperto il varco: Bruno Munari mi stava mostrando il prologo di una narrazione non certamente nuova ma attualissima, anzi futuribile: bisogna ancora affidarsi al potere delle immagini, e oggi più che mai farne veicolo di messaggi positivi, lavorare al consolidamento di nuove memorie visive.

Niente di nuovo, certo, ma rinnovabile. E questo è già segno di fedeltà alla Storia e alle sue evoluzioni, un modo per palesare cosa si vuole rappresentare nel corso del tempo.

Il MABOS – Museo d’Arte del Bosco della Sila è arrivato, nella genuinità della propria esperienza, al settimo anno di vita (o così si può contare quantomeno dalla data di fondazione ufficiale). Ha lavorato fino ad ora a rafforzare la cartilagine, a dare un’ossatura sana a sé, alla propria dimensione estetica. Ma ha rafforzato, nell’ottica di un’etica civile, anche il dialogo con il territorio; ha promosso la sfida di mostrarsi – e non sempre con facilità – come modello di inversione dello sguardo, aspirando a riqualificare un’area interna montana con contaminazioni artistiche che non invadono né sovvertono gli equilibri.

Il 2023 è stato un anno di transizione interessante, decisivo sotto molti aspetti: si è andata a definire, infatti, una fluidità che ha confermato l’aderenza del museo alle più attuali definizioni di arte, all’insegna dell’ibridazione e pure – contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un parco d’arte – dell’incidenza tecnologica. Ora, che la struttura è stata fatta, è il momento di fissare e rendere memorabile la missione e l’identità. Serve dunque un piccolo manifesto (più di uno, in verità) – direbbe Munari – che abbia la forza di comunicare agli altri che dentro la nostra visione c’è qualcosa che li riguarda, che gli appartiene. Quindi, qualcosa che interessa.

Quanto più vicino a questa narrazione ed esigenza, il progetto The Calabreser, tra gli esempi possibili, ha rappresentato con ironia e freschezza modelli di iconicità che hanno saputo, in pochi anni di vita, raccontare la Calabria e la calabresità, restituendone luoghi storici e geografici, personaggi, valori concreti e astratti. Copertine di una rivista immaginaria frutto di un lavoro collettivo che è stato anche vetrina per molti artisti e che quindi ha assunto una doppia valenza in funzione di una più incisiva valorizzazione territoriale, offrendo e accogliendo gli sguardi su ogni tipologia di risorsa possibile. Una missione che condividiamo, in forma diversa, ma che ci rende – proprio qui e ora – artefici di un destino comune.

È su questa base che oggi il Mabos si lega a Giuseppe Talarico, direttore artistico di The Calabreser: una collaborazione che darà la possibilità di un rinnovamento vicendevole, in immagini e contenuti. Così anche la nostra comunicazione visiva, che fino ad ora ha seguito una linea editoriale precisa, vedrà da qui in poi l’avvicendarsi di progetti eterogenei che avranno una loro specifica autonomia artistica e veicoleranno, oltre che i messaggi visivi che le illustrazioni vorranno esplicitare, anche la mano di chi le ha ideate.

Parte da qui, da questa spinta verso una nuova dimensione, la stagione artistica 2024.
A tutti noi buon lavoro e buona permanenza.

Elisabetta Longo
Direttore Mabos